L'indagine congiunturale previsiva su Torino e Piemonte, relativa al 2° trimestre 2019, è stata presentata questa mattina presso le Sale di Rappresentanza del Centro congressi dell’Unione industriale di Torino.
I dati sono stati commentati da Fabio Ravanelli, Presidente di Confindustria Piemonte, Dario Gallina, Presidente dell’Unione industriale di Torino e Luca Pignatelli, Responsabile dell’Ufficio Studi Economici. Erano presenti inoltre il Segretario Generale di Confindustria Piemonte, Paolo Balistreri, e il Direttore dell’Unione Industriale di Torino Giuseppe Gherzi.
Già a dicembre avevamo denunciato un brusco peggioramento del clima di fiducia che, insieme a una serie di dati macroeconomici, avevano delineato la concreta possibilità di una nuova svolta recessiva.
Oggi le previsioni formulate dalle imprese piemontesi e torinesi non indicano un peggioramento, restando sostanzialmente ferme, su di un livello “basso” malgrado la presenza di piccoli segnali di rimbalzo (export, occupazione).
Tali dati vanno comunque letti con attenzione: ad esempio, il buon andamento dell’export dipende dal fatto che le imprese, per conservare le quote di mercato, contengono i prezzi e sacrificano la loro redditività. Resta il fatto che l’economia italiana è oggetto di un’attenzione particolare non solo da parte di Confindustria, ma anche dell’Ocse, della Commissione europea e delle Agenzie di rating.
A livello territoriale la situazione si presenta in modo essenzialmente eterogeneo. Alcuni lievi miglioramenti si evidenziano a Cuneo, Alessandria, Novara, Verbania e Ivrea. A Cuneo si registra un’inversione di tendenza: le previsioni su produzione e ordini, decisamente negative a dicembre, mutano di segno. Analoga tendenza, in misura più attenuata, si registra a Novara. Ad Alessandria e Ivrea gli indicatori sembrano rafforzarsi. A Verbania i saldi, pur permanendo negativi, delineano una situazione meno critica. Biella e Asti confermano attese prevalentemente negative. A Biella, in particolare, il clima di fiducia rimane pessimistico, nonostante le forti stagionalità positive che solitamente caratterizzano il secondo trimestre; non è dunque da escludere che siano all’opera fattori strutturali di più lunga portata.
Anche nell’area torinese la rilevazione di marzo registra una sostanziale conferma del clima registrato a dicembre. Nel comparto manifatturiero il saldo ottimisti-pessimisti su produzione e ordini recupera quasi cinque punti e ritorna su valori positivi dopo il crollo di dicembre. Migliorano un poco anche le attese sull’occupazione (sospinte forse dall’effetto sostituzione dovuto a “Quota 100”). Il tasso di utilizzo degli impianti rimane sostanzialmente stabile. Stabili anche gli investimenti. Il carnet ordini si consolida e acquisisce visibilità a medio e lungo termine.
Il clima di sfiducia registrato a dicembre recede nella maggior parte dei settori. In particolare, i progressi più significativi si registrano nei settori chimico, della meccanica strumentale, della gomma-plastica, delle manifatture varie (gioielli, giocattoli, sport, ecc.); migliora anche il comparto dei prodotti in metallo dopo la flessione di dicembre. Il comparto alimentare procede speditamente e in questo trimestre beneficia delle consuete stagionalità positive. Attese lievemente espansive anche nel comparto degli impiantisti e meno negative nell’indotto edile, mentre non si attenua la crisi dell’edilizia. Restano negative, sia pure su toni più attenuati, le attese del settore cartario-grafico. Male il tessile-abbigliamento (in particolare il tessile). Da valutare nei prossimi trimestri la svolta in senso negativo del comparto elettrico-elettronico, uno di quelli che negli ultimi trimestri aveva fatto rilevare attese positive. Critico e molto problematico il comparto auto, soprattutto in ragione dei grandi cambiamenti in atto a livello normativo e tecnologico, e in assenza di una seria politica industriale.
Si attenuano le differenze tra piccole e grandi imprese, molto marcate a dicembre. Il miglioramento delle attese delle imprese di minori dimensioni (meno di 50 addetti) riporta le previsioni in area di crescita, avvicinandole a quelle delle imprese di maggiori dimensioni (oltre 50 addetti). Un’analisi più approfondita mostra come le micro-imprese (sotto 10 addetti) siano fortemente pessimiste, mentre al di sopra di tale soglia il clima di fiducia è maggiormente positivo.
Come di consueto, l’indagine di marzo contiene anche una sezione dedicata ad una prima valutazione del consuntivo economico e finanziario 2018.
Un anno che si chiude con un bilancio decisamente positivo quanto a crescita del fatturato e andamento della redditività, con risultati non lontani dal quelli del 2017, anno record per il nostro sistema produttivo. Quasi metà delle imprese registra infatti una crescita del fatturato (44,1%) e la grande maggioranza dichiara un bilancio in utile (67%); sostanzialmente stabile l’indebitamento (50%) a fronte di una significativa crescita degli investimenti (circa una azienda su tre ha aumentato a spesa per investimenti).
«L’indagine di marzo allontana, almeno nel breve termine, i timori di una svolta recessiva più marcata, che a dicembre sembrava possibile e anzi probabile - commenta Fabio Ravanelli, Presidente di Confindustria Piemonte. La nostra indagine sembra invece indicare un assestamento delle aspettative: non certamente brillanti ma comunque espansive. Confortano anche la modesta risalita della CIG, la tenuta dell’occupazione e degli investimenti, la sostanziale stabilità della capacità produttiva, attestata su livelli ancora elevati. Regge l’export, nonostante i dati macro poco dinamici dai nostri principali mercati. Il nostro sondaggio va interpretato alla luce di un quadro macro che rimane improntato, almeno per il 2019, a una sostanziale stagnazione dell’economia italiana, come evidenziato nelle recenti previsioni di Confindustria, Prometeia, Banca d’Italia».
«Il 2019 si prospetta come un periodo transitorio, particolarmente difficile e complesso - commenta Dario Gallina, Presidente di Unione Industriale Torino. In un quadro di forte rallentamento della crescita europea e globale, il nostro Paese è tra quelli più fragili: la debole crescita, l’alta disoccupazione, l’elevato debito e la mancanza di coerenti strategie orientate allo sviluppo ci rende più esposti ai rischi di recessione. I dati a consuntivo dimostrano che le aziende sono solide, dopo alcuni anni postivi quanto a redditività, crescita e equilibri finanziari: hanno dunque risorse adeguate per affrontare gli investimenti richiesti dalle importanti sfide tecnologiche e di mercato che abbiamo davanti».